“La nostra vita ha bisogno di significato, e molto di ciò che avviene nel mondo moderno milita contro questa esigenza. In questi anni prossimi alla fine di un secolo cruciale, c’è la possibilità di migliorare il saldo umano del cambiamento sociale. Chi è disposto ad andare in questa direzione troverà forse di suo genio alcune delle riflessioni contenute in questo libro.”
Ralf Dahrendorf, La libertà che cambia (1995)
Con questa frase Dahrendorf conclude la prefazione alla edizione del 1994 del suo testo sull’analisi delle società avanzate contemporanee d’occidente e sulla necessità di un mutamento d’orizzonti del liberalismo, della sua futura prassi, indicando finanche le linee guida di un atteggiamento culturale nuovo che si attagli ad una realtà sociale la cui complessità multiforme vediamo palesemente ogni giorno sottrarsi agli schemi irrigiditi e inadeguati della politica attuale.
Per sua stessa ammissione “La libertà che cambia” non è tuttavia un libro di carattere strettamente politico bensì teorico, ma compare, per nulla invecchiato dal ’79 anno della sua prima edizione tedesca (Dahrendorf lo considerò allora apparso prematuramente) in un’epoca della nostra storia in cui l’immaginazione sociologica, la capacità e la volontà di costruire il mondo, si mostrano come risorse assai carenti in un clima stagnante nel quale sembra sia impossibile andare oltre la gestione dell’esistente, in cui ogni forma di idealità sembra di per se stessa scandalosa se non rivoluzionaria.
In parecchi luoghi del suo testo l’autore tenta di riannodare il legame che in passato comprendeva in un’ unità inscindibile la filosofia politica alla pratica di governo della società e non v’è dubbio che uno dei suoi scopi fondamentali sia proprio quello di riportare il pensiero, il contenuto dei prodotti della mente o di ciò che meglio ancora egli definisce “l’egemonia delle idee nella sfera dell’azione” di modo che questa non finisca per tradursi nell’anomia individuale o per i gruppi dotati di identità in quel disorientamento che è frutto dell’automatismo dell’azione quando non è sostenuta da quel pensiero che egli definisce, come vedremo, di natura rappresentativa.
Primo passo nell’analisi di Dahrendorf è la definizione del concetto di libertà che anzichè preoccuparsi di illustrare sinteticamente come d’abitudine a partire dal pensiero democratico più antico per giungere alle tesi del liberalismo classico ( libertà come aspirazione alla massima felicità in Aristotele ,libertà come massima utilità in Bentham, libertà come massimo oggettivo benessere nel modo attuale) egli descrive come campo delle possibili chances di vita per ciascun individuo. Questo concetto, quello delle life chances (che noi chiameremo occasioni di vita) egli definisce ulteriormente in modo disgiuntivo come composto da tre essenziali caratteristiche che lo implicano e lo rendono dispiegabile. Si tratta di tre valori specifici: i diritti positivi, la disponibilità di beni, le “legature” (entitlements, provisions, ligatures). I primi due come egli specifica sono attinenti alle opzioni di vita in regime di libertà, il terzo riguarda il significato.
Dopo una ridefinizione, nel rispetto della tradizione liberale, del principio del diritto positivo (entitlement) in quanto appartenente alla sfera dell’individuale in opposizione al dubbio concetto di diritto come fenomeno prevalentemente sociale che ebbe particolare rigoglio durante gli anni settanta e un’analisi dei guasti prodotti negli anni ottanta dalla convinzione secondo la quale al massimo del benessere doveva corrispondere la concentrazione quasi esclusiva sulla disponibilità di beni (provisions) si dedica ad analizzare quello che considera il problema fondamentale degli anni novanta e di quelli a venire, ovverosia a denunciare il pericolo che nel prestare solamente attenzione ai diritti positivi (la cui difesa non è mai comunque da considerarsi scontata) e alla disponibilità di beni si rischi di distruggere :” i nessi più profondi che connettono le persone alle loro comunità” quei nessi che egli chiama legature (ligatures).
Nella prefazione egli commenta in particolare riguardo alla situazione italiana : “…sono venuto sempre più associando il concetto di legature a quello della società civile. Una società civile offre ai propri cittadini una” home”, oltre ai diritti che loro spettano. In Polonia è stata l’incapacità di distruggere la società civile a causare alla fine la disfatta dei comunisti: Certo la società civile non è tutto. L’Italia è un modello di società civile, ma è stata a lungo una società civile senza uno Stato. Almeno, non vi erano strutture che meritino il nome di Stato. Il problema presente dell’Italia è di creare queste strutture senza distruggere la società civile. Tutti coloro che, come chi scrive, amano l’Italia per la sua vitalità e libertà sperano che il grande esperimento di riforma dall’interno abbia successo. Le legature della società civile saranno un fattore determinante.”
Quali sono le condizioni necessarie perché l’individuo nella nostra società possa godere delle chances di vita più ampie possibile? Il concetto viene da Dahrendorf più precisamente delimitato con l’assumere che esse sono “ le impronte della esistenza umana nella società”: definiscono in sostanza fino a che punto l’individuo può svilupparsi e sono la stessa traccia storica dell’evoluzione sociale. Tali impronte (le forme di vita della società) rappresentano dunque per l’autore il grado di misura delle eventualità del progresso possibile, la cui natura va oggi confrontata con il mutare dell’unico tipo di progresso attualmente certo, quello scientifico-tecnologico a cui, per drammatica contraddizione, non corrisponde altrettanto sviluppo etico-morale.
Secondo Dahrendorf per quanto le società moderne abbiano visto maturare, proprio a causa degli squilibri impliciti nel progredire tecnicamente, le proprie tensioni e crisi interne, sembra esserci, a causa della catena ormai consolidata di diritti positivi fondamentali di carattere istituzionale un aumento delle quantità di chances di vita esistenti e del numero di persone per le quali esse sono disponibili ,mentre, d’altro canto, afferma non potersi ignorare che la tendenza alla uniformità delle credenze e dei valori ha condotto ad una riduzione della complessità del sistema di relazioni tra gli uomini che a sua volta conduce invece ad un calo di chances di vita; paradossalmente il sistema di opportunità che si offrono in varietà molteplice nel contesto nel quale viviamo soffre dello stesso vizio di cui sembra essere inficiato il sistema dell’ informazione che ottunde le differenziazioni trasformandosi in un rumore di fondo che tutto permea impedendo di distinguere e di contrassegnare i valori secondo appropriate gerarchie di senso.
Questo è il discorso sulle legature, che altro non sono nel linguaggio di Dahrendorf se non le relazioni umane il cui insieme di legami è stato in gran parte sciolto proprio per poter porre gli uomini in grado di avvalersi delle opzioni offerte dalla società moderna tra le quali la riduzione dei conflitti di classe, la diffusione del sapere e, sempre di più, la mobilità nel mondo del lavoro giocano un ruolo determinante.
Citando una frase del testo di Lionel Trilling “La Letteratura e le Idee” egli ricorda la stessa relazione paradossale del liberalismo con i sentimenti degli uomini, per cui da una parte i liberali vogliono che ognuno sia felice, mentre dall’altra tendono a negare le emozioni nelle loro complete possibilità.
In questo modo Dahrendorf pone l’accento sulla esigenza ormai improcrastinabile che la politica, per essere attuale e ritornare ad avere concreta funzione, possa ampliare il proprio ambito di ricerca a bisogni che nelle società avanzate vanno ben oltre la ricerca del massimo benessere economico. Per dirla con John Stuart Mill : “il principio della massima felicità deve essere riferito non solo a tutta l’umanità, ma, per quanto lo consente la natura delle cose, a tutta la creazione sensibile.”
Questa affermazione dell’autore ne illustra il programma: “Il concetto di cui abbiamo bisogno per definire gli obiettivi sociali e politici di un liberalismo attivo deve ancorare le possibilità di crescita umana a modelli di strutture sociali, senza con ciò dimenticare che la soddisfazione assolutamente personale del singolo resta auspicabile. Noi abbiamo bisogno di un concetto sociale in senso stretto – il che significa necessariamente anche storico- di ciò che costituisce l’essenza delle società umane, vale a dire di un concetto che ci metta in condizione di dare sostanza tanto a teorie sociali della trasformazione quanto alla teoria politica della libertà.”
Altrettanto chiaro è Dahrendorf circa la versione dominante del liberalismo inteso come semplice espressione di libero dominio del mercato:” Io disprezzo quell’atteggiamento negativo che si dice liberale, ma concretamente non è qualcosa di molto diverso dalla difesa degli interessi di posizione dei benestanti.”
E’ evidente dunque quale sia il suo intento: chiarire il concetto di chances di vita come guida per un nuovo liberalismo che possa ricomporre la divaricazione esistente tra le opzioni possibili nel mondo moderno e la difesa del sistema delle relazioni umane.
Poichè l’elemento morale del liberalismo è la convinzione che lo sviluppo delle possibilità dell’individuo rappresenti il fine fondamentale del progresso allora ne consegue che i gruppi, le organizzazioni, le istituzioni sono mezzi finalizzati allo sviluppo individuale. Nelle società avanzate questo principio è minacciato da due tipi di collettivismo: il movimento conservatore con i suoi slogans tipici su legge e ordine che presuppongono un ritorno a posizioni superate e inattuabili per la coscienza moderna e i movimenti rivoluzionari che con le loro parole d’ordine sulla politica fiscale e il controllo degli investimenti si spingono sino ad un egualitarismo terroristico alla Orwell.
Come poi le due tendenze abbiano potuto ricomporsi nel mondo contemporaneo attraverso le politiche socialdemocratiche è illustrato in questo modo dall’autore: “La crescita della produzione richiede unità economiche che non siano più concorrenziali tra loro: tra queste, in importanti settori, la mano pubblica, lo stato. La crescita del reddito reale richiede organizzazioni che, come i sindacati, si avvalgano per parte loro di posizioni di monopolio…la realtà delle moderne economie è un sistema misto di ordinamenti proprietari pubblico-privati e di strutture decisionali oligocentriche.”
In questa situazione “ è possibile cambiare il tema della gestione economica sostituendo a ingenue aspettative di crescita un miglioramenti effettivo della vita degli uomini?”
La risposta di Dahrendorf consiste in due proposizioni che possono apparire estreme ma che sono condizione essenziale per la genesi di un nuovo atteggiamento politico il cui fondamento siano le possibilità di sviluppo individuali di ciascuno: sciogliere il matrimonio che lega liberalismo e capitalismo e considerare d’altro canto come esaurita l’alleanza tra liberalismo e socialismo.
“La quadratura del cerchio” afferma Dahrendorf “che discende necessariamente da queste osservazioni è la creazione di una nuova sfera pubblica , che comprenda singoli e organizzazioni e che tuttavia riconosca il primato dell’individuo, oggi il principale tema irrisolto della politica istituzionale liberale.”
Una adeguata attenzione in questo senso egli dedica ai movimenti e alla loro spinta di opposizione al sistema riconoscendo che: “ …seppure disarticolata, confusa, intricata e difficilmente afferrabile, c’è nella richiesta di una nuova qualità della vita una forza che giustamente i detentori del consenso socialdemocratico sentono come minacciosa. Questa forza può non soltanto sottrarre voti ai partiti del consenso, essa mira al loro cuore, alle ipotesi che stanno alla base del consenso. Vuole cambiare il motivo di fondo e realizzare qualcosa di nuovo: nessuna meraviglia che governo e opposizione, sindacati e associazioni imprenditoriali siano concordi nel condannarla!”
In una situazione del genere rimangono al liberalismo politico due vie praticabili: una è quella della organizzazione di minoranze pensanti composta da quella scarsa percentuale di coloro che diffidano radicalmente delle grandi organizzazioni (che Dahrendorf quantifica nel mondo occidentale attorno al 4, 6 per cento) che promuova la crescita ,l’altra consiste nel riconoscere che oggi il ruolo sociale di ciascuno va oltre l’appartenenza ad una identità rigidamente politica o che, per converso, la politica deve sapersi organizzare per fornire una risposta alle esigenze emergenti di ciascuno.
“ Il compito pratico di un programma liberale del futuro potrebbe essere definito come il tentativo di modificare le condizioni di vita nelle società moderne in modo che un crescente numero di uomini riesca a basare le proprie decisioni politiche non sull’appartenenza a specifiche organizzazioni ma piuttosto su complesse costellazioni di interessi. Questa potrebbe essere addirittura la definizione del liberalismo come programma di un partito di maggioranza.”
Questo impegno è tanto più urgente quanto più si intravede la fine della forza storica del sistema di consenso socialdemocratico nel quale Dahrendorf scorge evidenti i segni di delegittimazione incipiente.
Per seguire ancora l’autore alla lettera: “In un’epoca in cui il grande consenso, nella sua noia, reprime i suoi bisogni di legittimazione, è importante soprattutto comprendere ciò che accade. Se questa comprensione riuscisse, potrebbe diventare essa stessa una forza del mutamento.
Perciò l’impaziente ricerca di comprensione e di progettazione per il futuro diventa il più importante compito liberale.”
Alla radice di questo programma per il futuro assume particolare rilievo la critica che egli rivolge al malinteso senso e scopo dell’uguaglianza che anzichè uniformare le esistenze dovrebbe al contrario saper realizzare diverse vite individuali: “ Nella misura in cui l’uguaglianza domina sia l’agire di coloro cui competono le decisioni sia il pensiero di coloro che su di esse riflettono, si vengono a perdere di vista le differenze, che sole possono dare le più grandi chances di vita al maggior numero di persone; e nella misura in cui, a questa maniera, il pensiero e l’azione politica vengono depauperati, la società si irrigidisce e diventa incapace di creare quel mondo variegato in cui cento fiori fioriscono sullo stesso fertile terreno.”
Altrettanto critico è Dahrendorf per quanto concerne la tendenza a ridurre all’immobilismo i detentori di cariche elettive i quali non possono fare una mossa senza l’esplicito consenso dell’elettorato che li ha designati: “Il delegato…non è soprattutto in condizioni di dirigere, cioè di introdurre il nuovo prima che sia accettato da tutti; gli manca sia l’incentivo sia anche la reale possibilità di prevenire il suo elettorato. Questo è abbastanza grave perchè significa inattività al posto di azione, immobilismo anzichè progresso. Il processo si conclude nella pietrificazione del rappresentante delegato che finisce per diventare il portavoce di una schiera abbastanza piccola di cittadini: non di tutto l’elettorato, ma di un’organizzazione di partito, non della intera organizzazione di partito, bensì solo degli attivisti che si possono permettere incontri frequenti e molte ore per sterili discussioni. Al contrario ci sono molti elementi a favore di una accentuazione della necessità d’iniziativa nei processi decisionali di tutte le istituzioni sociali e di incoraggiamento della iniziativa oltre che della resposabilità.”
L’ultima parte di “La Libertà che cambia” e dedicata da Dahrendorf all’analisi della distinzione tra le attività cosidette legittimative (sostanzialmente di carattere politico) e rappresentative (normalmente inscritte nella sfera propria dell’arte e della cultura).
Delle due attività egli afferma che :”…differiscono da tutte le altre attività dell’uomo per il fatto che la loro unione attua ciò che si può chiamare progresso nelle cose umane.”
Questo a patto però che coloro che operano in questi campi possano scambiare e fondere i propri ruoli.
Se Albert Camus ha detto, come Dahrendorf ricorda, che: “…l’artista sta in mezzo a tutti, allo stesso livello, nè più in alto nè più in basso, insieme a tutti gli altri che faticano e lottano” è giunto oggi il momento in cui la prassi politica oltre che della funzione legittimativa si faccia carico, o si faccia nuovamente carico, della idealità caratteristica delle attività rappresentative a fronte dei bisogni complessi dell’individuo contemporaneo.
“Chi tenta di trasformare il mondo senza avere una idea della direzione, senza quindi valersi di scoperte ideali, finisce nel migliore dei casi di compiere un “acte gratuite” pieno di buone intenzioni; il che in effetti ci riporta all’antifilosofia del fascismo, dello stalinismo e del terrorismo. Le attività legittimative hanno bisogno dei risultati delle attività rappresentative per qualificare la direzione del mutamento. Le attività rappresentative danno un senso e un programma. Ma esse danno anche qualcos’altro, la speranza e senza speranza non c’è progresso.”
Che la nostra vita abbia bisogno di significato, come s’era detto all’inizio, e che si debba imparare a intendere questa necessità ormai come principio inderogabile del lavoro politico sta forse la lezione più pressante, per quanto difficile da attuare, contenuta nel libro di Dahrendorf di cui abbiamo presentato una sintesi assai parziale a causa della ricchezza e vastità di questa sua opera densa quanto articolata.
(Walter Falciatore)
Titolo dell’edizione originale: Lebenschancen. Anlaufe zur sozialen und politischen Theorie. 1979, Suhrkamp Verlag , Frankfurt am Main.
Versione italiana 1995 Roma – Bari, Laterza